Fulminato dall'idea di un romanzo


Te ne stai per i fatti tuoi quando sei fulminato da un’idea. Zac, senti proprio la frecciata del Cupido della narrativa. Non è niente di sofisticato, anzi è un fotogramma mentale così semplice da farti quasi vergognare. Sei tu - sei sempre tu alla fin fine il protagonista delle tue fantasie narrative - che salvi una donna da un grave pericolo. Oppure sei tu che ti butti da una finestra attaccato a una corda (non c’entrerà la solita donzella con gli occhioni blu da salvare?), o infine sei ancora tu che hai un tic irresistibile tipo voler morire, rubare gli oggetti intimi delle persone, dare in escandescenze udendo un particolare suono o avere un passato di cui tu stesso non sei a conoscenza.
Questa elementare immagine fattasi largo nella tua mente ti stecchisce come capita nei più appassionati amori. Sei in preda a un vero e proprio colpo di fulmine. Ami. Il tuo cervello e il tuo cuore godono, li senti perfino mugulare: “Ooooohhhh!”. Continui a pensare e a ripensare a come potresti arricchire il fotogramma mentale che ti ha sedotto. Ed ecco avvicendarsi dentro di te scene e scene. Personaggi si delineano. Frammenti di trama si rincorrono nella tua testa. E pensi. Fai l’amore con la tua mente senza sosta. Sei euforico. Crei centinaia di situazioni diverse, di complicazioni, di colpi scena. Attingi a tutto il tuo vasto patrimonio iconografico di libri, ma soprattutto di film. Trasferisci nella tua storia in divenire questo o quel personaggio cinematografico adattandolo alle tue particolari esigenze. E crei, crei. Ma sopra ogni cosa sei felice come poche volte ti è capitato nella vita.

Come ho gia detto, a mio vedere il momento più bello di quando scrivi narrativa, quello in cui sei euforico e ti percepisci come un dio minore, è ancora prima che inizi a scrivere, nel momento in cui hai solo un'idea in testa. Provi una gioia che è quasi perfetta, assolutamente non adatta a questo mondo prosaico, quando sei fulminato da quell’ideuzza e quando cominci a pensare che quello spunto potrebbe essere abbastanza robusto e originale da sostenere un romanzo.
Naturalmente quasi subito ti accorgi che la moltitudine di scene e situazioni che elabori come un computer impazzito non funziona. Spesso è roba banale, poco coinvolgente, che non supera un secondo approfondito esame mentale. Elimini una quantità impressionante di spunti narrativi dalla tua lavagna mentale, ma ciò che resta è comunque materiale abbastanza vasto da ispirare una decina di romanzi.
Dopo qualche giorno di giubilante estro mentale, decidi che è il momento di mettere su carta le creazioni mentali sopravvissute fin qui. E via con un altro genocidio di idee. Si sfoltiscono temi, frammenti narrativi, complicazioni. Si decide che quel particolare personaggio, che pure pareva una bomba di originalità, con la tua storia non ha niente a che spartirci. Ci si rassegna a eliminare una irresistibile trama secondaria che ci porterebbe fuori tema. Si taglia, si taglia. Si buttano a mare quintali di zavorra narrativa, per consentire alla tua mongolfiera letteraria di continuare a volare e se possibile salire nei più alti cieli artistici.

Quali amori, quali antidepressivi, quali droghe leggere o pesanti! Quali stimolanti! Non ti serve niente per essere su di morale. Nemmeno un caffè annacquato. Il mondo non ti può offrire niente, perché qui dentro hai già tutto ciò che ti rende felice.

La gioia di quando scrivi narrativa


Approfittando di una mia recente corrispondenza con un’amica del blog che condivide la mia passione per la scrittura, parlerò dei momenti più belli legati a questa attività. Quali sono gli attimi più appaganti di quando sei impegnato a scrivere un romanzo? Quand’è che ti senti pieno di energie titaniche e di titaniche euforie? Quand’è che gioisci e quando ti senti un cadavere intento a suicidarsi su una storia che sembra spazzatura? Naturalmente questi stati d’animo sono legati a esperienze personali. Ciascuno è fatto a modo suo e reagisce agli stimoli in modo diverso. Tuttavia da ciò che ho letto posso affermare, sia pure con tutte le cautele e i distinguo possibili, che quanto dirò ha un certo fondamento e risulta abbastanza condiviso dalla maggior parte degli scrittori. (Mi considererò in questo e nei post seguenti uno scrittore a tutti gli effetti, anche se non ho conseguito nessun risultato degno di nota in questo campo; più o meno mi baserò sul presupposto che se respiri e mangi e ami sei un uomo, anche se non hai fatto nulla che ti qualifichi come tale… e se scrivi e soffri e gioisci facendolo, allora sei uno scrittore, anche se nessuno ti riconosce in questa veste.)

Parlerò con più dettagli della gioia collegata all’atto di scrivere narrativa nelle prossime puntate. Qui posso dire soltanto che secondo la mia esperienza personale io provo il massimo del piacere, uno stato d’animo di pura esaltazione addirittura, quando ho l’idea per un romanzo, quando sviluppo quell’idea, la arricchisco di complicazioni e quando infine la giudico sufficientemente robusta e originale per sostenere una storia da sviluppare su qualche centinaio di pagine (il fatto che io la giudichi degna non significa ovviamente che lo sia davvero). Da questo momento di gioia quasi perfetta, di idillio amoroso unico con la narrativa, c’è una costante perdita di felicità sino alla fine del romanzo (la gioia si muterà in profonda infelicità, fonte di memorabili incazzature, durante le operazioni che sei costretto a svolgere dopo aver scritto la parola fine sulla tua storia).