Il mio romanzo fuori dal cassetto


Alcuni amici, tra gli ultimi flyer, stregagatta e Laura, mi hanno chiesto informazioni sul mio romanzo uscito dal cassetto per avviarsi in tempi ragionevoli alla stampa. Ho già detto che si intitola Atto d'amore e che è di argomento giallo con venature erotiche. Parla della difficoltà di instaurare rapporti sentimentali nella moderna vita metropolitana.
Il mio editore Roberto Russo di recente mi ha detto che è già possibile prenotare il mio romanzo, per chi sia interessato, a questo indirizzo. Bisogna compilare una scheda senza pagare nulla, è spiegato tutto sul sito; si pagherà solo alla consegna del libro che, devo avvisarlo, potrebbe richiedere ancora qualche tempo.

Ecco la quarta di copertina che ho scritto per la mia storia:
Magari sei un balordo, ma, pur con i tuoi vizi spregevoli, riesci a tenerti dentro i confini della società. E magari capita che un giorno ti innamori, e che proprio ciò che dovrebbe renderti più umano ti faccia percorrere quel centimetro che ti fa uscire dalla normalità. L'amore fa impazzire? Forse. L'amore crea mostri? Può darsi.
Nessuno è in grado di prevedere cosa può succedere quando un uomo incontra una donna. Soprattutto quando l'uomo è uno stupratore occasionale e quando la donna è una figura forte, ma incomprensibile come Teresa.

Gli interessati vadano sull'indirizzo su indicato, sulla colonna a sinistra c'è la scritta "Prenotazione libri"; cliccandola verrà visualizzato pure il mio romanzo Atto d'amore. Ripeto che per prenotare non si deve pagare nulla.
Ecco un link che potrebbe essere interessante consultare: Graphe.it

Che altro dire? Magari, in mezzo a tante scartine, qualche volta ci arriva pure una discreta mano di carte nella partita della vita. Un sorriso agli amici.

Napule è mille culure


A tutti noi è capitato di amare e odiare nello stesso tempo una cosa. Può essere stata una donna, un amico, una casa. Io ho detestato spesso la mia città, Napoli, ma poi all’improvviso mi è capitato di amarla e soprattutto di ammirarla. Non credo che Napoli sia cambiata nel profondo da quando la conosco, cioè da sempre, quindi devo essere cambiato io o il mio modo di percepire il luogo in cui vivo.
Ho già parlato in altri post del mio rapporto ambivalente verso certi aspetti del folclore partenopeo. Per gli interessati c'è l’etichetta “Napoli” in fondo all’articolo. Ora voglio parlare del particolare modo in cui percepivo Napoli nella narrativa, specie in quella che producevo io.

Come alcuni sapranno scrivo narrativa, ora più, ora meno, da diversi anni. Uno dei problemi maggiori che ho incontrato in questa mia attività è stata l’ambientazione delle mie storie. Scrivevo gialli, racconti di emarginazione metropolitana, di fantascienza o anche di genere fantastico (cioè di eventi portentosi non spiegabili con la normale esperienza umana). Il problema grosso era quando dovevo collocare le mie storie in uno sfondo letterario efficace. L’ambientazione in narrativa è un elemento fondamentale, rende plausibili le tue storie, dà loro spessore e vividezza, le fa vere o verosimili. L’ambientazione non deve essere per forza minuziosa o peggio ancora prolissa, ma vigorosa. Il lettore deve percepire che chi scrive sa di cosa parla, conosce vicoli, persone, suoni, accenti, deve convincersi che l’autore ha respirato l’aria menzionata nella sua prosa, ha udito la gente bestemmiare nella loro parlata originale e forse ha imprecato lui stesso in maniera simile.

L’unica città che conosco davvero bene è la mia, Napoli. Quindi una scelta naturale e anche obbligata sarebbe stata di collocare le mie storie lì o meglio qui. Purtroppo qualsiasi mia avventura letteraria situata nei vicoli partenopei mi risultava stonata. Mi pareva che nella mia città si muovessero solo personaggi da macchietta come quelli di Così parlò Bellavista di De Crescenzo o di Io speriamo che me la cavo della Wertmuller. Passeggiando per Mergellina o per i quartieri spagnoli potevi imbatterti solo in un Pasqualino Settebellezze o in un moderno lazzarone mandato da Picone. Avevo la netta percezione che le mie ambiziose storie (ambizioso non significa per forza efficace) - talvolta basate su viaggi nel tempo o su situazioni alla Matrix quando ancora non c’era il film - si riducessero, situandole in una certa oleografia partenopea, a un Funiculì Funicolà e a un Pullecenella che mangia spaghetti con le mani. Per evitare questa apparente iattura per anni ho collocato i miei romanzi in paesaggi asettici, città fantasma che sarebbero potute essere tutte o nessuna, rinunciando in questo modo a molta della forza narrativa tipica di una buona ambientazione letteraria.

Poi d’un tratto zac, ho cambiato idea. Ho visto Napoli con occhi diversi non solo in letteratura. Dove prima coglievo basso folclore buono per i turisti nordici che dicono Wonderful agli scugnizzi e alle pescivendole di Porta Nolana , ora vedevo colori a migliaia, vitalità, mistero. Posti e personaggi affascinanti utili per ambientare qualsiasi storia, seria e meno seria, tradizionale o innovativa, gialli, horror, vicende politiche, di denuncia e persino avventure di fantascienza o di fantasy. Volete fare viaggi nel tempo? Fateli a Napoli. Volete cercare nuovi codici Da Vinci? Cercateli nei musei di Capodimonte o nel Castel Sant’Elmo. I vicoli partenopei si adattano a ogni trama, intreccio, situazione o argomento riproducibili in narrativa, così mi pareva, e tutto possono valorizzare i chiaroscuri dei bassi, il caos delle strade, il brulicare di umanità. Venite a Napoli, troverete Masanaiello e Ciccio Formaggio, ma anche Eduardo, Massimo Troisi e Pino Daniele. Qui vi aspettano gli scontati babà e sfogliatelle delle Marise Laurito, ma pure la passione, il cuore di una vera femmina di mare come quella ritratta nella foto del post.

Nella mia città c’era tutto e il contrario di tutto, ho scoperto un giorno. E tutto e il contrario di tutto si può scrivere su quello sfondo. Pochi o nessun posto nel mondo sono più adatti per ambientarvi storie. E’ strano che io l’abbia capito solo dopo tanto tempo. A volte ti serve quasi una vita per afferrare concetti elementari, per capire che “Napule è mille culure / Napule è mille paure / Napule è a voce d’’e creature / ca saglie chianu chianu / e tu sai ca nun si sulo”… “Napule è tutto 'nu suonno / e 'a sape tutto ‘o munno / ma nun sanno ‘a verità.”

La felicità è scrivere senza soffrire


Forse per la prima volta nella mia vita mi accorgo di scrivere con facilità, senza sforzo, anche per parecchio tempo. E’ una sensazione magnifica scrivere senza fatica, percependo che riesci a comunicare il messaggio desiderato nel modo voluto. E’ come correre in mezzo ai prati con il sorriso sulle labbra e un venticello fresco che ti sospinge in avanti. La gioia è ancora maggiore se in passato raramente hai sperimentato questa felicità e leggerezza di scrittura.

Ricordo che nei primi tempi che scrivevo al computer dopo nemmeno un’ora di lavoro ero preso da sbadigli catastrofici, da una stanchezza mortale che mi faceva bruciare gli occhi, senza pensare ai crampi nelle dita o negli avambracci, specie in quello sinistro, o al famigerato tunnel carpale. Avevo dolori dappertutto, la schiena era un tormento. Davvero era un calvario proseguire nella scrittura per lunghi periodi. Dio mio, quanti sbadigli avrò fatto in quei periodi, li ricordo tutti a uno a uno. Cercavo di resistere sulla mia postazione di lavoro, ingozzandomi di caffè oltre ogni limite consentito, mentre limavo qualche capitolo di romanzo o miglioravo qualche dialogo, ma la stanchezza estrema in breve aveva ragione della mia volontà e mi costringeva ad abbandonarmi esausto sul letto. Da lì fissavo il computer con odio, giurando che alla prossima occasione non sarebbe riuscito a mettermi kappaò così presto.
Avevo alcune spiegazioni per questo spiacevolissimo fenomeno. Mi dicevo che le tastiere che usavo erano troppo dure (per anni ho difeso con la vita il possesso di una tastiera da computer 386 a cui ho dedicato un post qui). Le rotelline del mouse si bloccavano spesso facendoti impazzire, la sedia da cucina era dura e scomoda, il tavolo più claustrofobico che stretto e soprattutto il monitor aveva basse frequenze di refresh (i famosi hertz)… per anni ho lavorato con un monitor a 60 hertz senza sapere che in quel modo mi uccidevo gli occhi. Miseriaccia infame, quanto ho sofferto.

Per fortuna da poco più di un anno le cose vanno molto meglio… In questo periodo si sono verificati favorevoli cambiamenti soprattutto i due campi, la comodità degli strumenti di scrittura e il fatto di dover scrivere sul blog.
Per quanto riguarda la comodità operativa, mese dopo mese ho accumulato alcune migliorie alla postazione di lavoro che mi mettono quasi in condizione ottimale per scrivere. Prima di tutto ora posseggo un monitor lcd da 17 pollici che è circa un milione di volte più riposante del vecchio monitor crt in bianco e nero da 14 pollici, comprato tra l’altro di seconda mano. Inoltre ho un tavolo da computer grande, arioso, e una poltroncina regolabile in altezza e inclinazione. Infine l’asso nella manica di recente acquisizione: un set tastiera e mouse senza fili, una benedizione di Dio in quanto a ergonomia (non vorrei bestemmiare, ma la tastiera wireless che ho ora mi sembra perfino più confortevole di quella gloriosa a cui ho da poco fatto il funerale). Il mouse senza fili e senza le maledette rotelline che si bloccavano a ogni pie’ sospinto è un portento.

Il fatto di scrivere per il blog, come ho già detto in altre occasioni, mi ha dato scioltezza, e mi ha allenato ad affrontare il giudizio di un pubblico di lettori che ti fanno capire cosa funziona e cosa no nella tua prosa. Il blog ti fa percepire gli umori e le reazioni della gente come di certo non ti capita se scrivi per te stesso in una stanza isolata dal mondo. Scrivendo post, e leggendo quelli altrui, ti dedichi a un sano tennis letterario, butti la palla nel campo avversario e ti prepari alla risposta con il rovescio incrociato… Non batti palle letterarie in un campo morto in cui nessuno si sogna di dirti o farti capire se giochi bene o male.

Mi sono reso conto della recente facilità di scrittura scrivendo alcuni capitoli di un romanzo che sto revisionando e che spero di pubblicare in un tempo non lontano. Durante la prima stesura del romanzo, risalente a parecchi anni fa, ricordo che buttavo il sangue per procedere; ora invece non ho avuto difficoltà a impostare e finire le scene, sono andato dall’inizio alla chiusura di un capitolo senza sforzo. Nessuno potrà mai sapere che sensazione stupenda sia scrivere con facilità, dopo che per anni hai dovuto combattere contro sbadigli assassini o contro crampi all’avambraccio e altri dolori che quasi ti facevano piangere.

Cruciletterario


Ho creato questo cruciverba per gli appassionati della letteratura. In un secondo momento, se me lo si richiederà pubblicherò lo schema risolto. Le definizioni attinenti alla letteratura sono in corsivo. Buon divertimento a chi si cimenterà.

Orizzontali. 1. Scrittore isolano. 8. Nome maschile più diffuso al femminile. 9. Burdon cantante degli Animals. 12. Francesca narratrice e saggista. 15. Chiedevano chi erano i Beatles. 16. Con Rafael e Herrera nel più noto museo archeologico di Lima. 17. Tradisce nella Chanson de Roland. 20. Raganella arborea. 21. Vladimir di Lolita. 24. Plurale di un noto ingrediente aromatico della cucina. 26. Paolo poeta e librettista tra i massimi esponenti dell'Arcadia. 27. Articolo femminile. 28. Trinity College Dublin. 30. Era nova nella musica. 32. Quello di Samostata parlò del primo viaggio letterario sulla Luna. 35. Fleming creatore di James Bond. 37. Jacques presidente della Commissione Europea dal '95 al '99. 38. Carlo che passò dove Cristo si era fermato. 39. Premio Nobel per la letteratura nel 1947.

1. Comunità Economica Europea. 2. Iniziali del regista di La cicala. 3. Nobel per la letteratura nel 1904. 4. Nome di Asimov. 5. Jack campione della narrativa avventurosa. 6. Marut scrittore anarchico noto pure con lo pseudonimo di B. Traven. 7. Levin di Rosemary's baby. 10. Articolo maschile. 11. Nome del più grande veliero del mondo. 13. Sei romano. 14. Primo pronome personale. 15. Scriveva di lamantini e babirussa. 16. Pseudonimo di Amaliana Cambiasi Negretti. 17. Nobel per la letteratrura nel 1983. 18. Absolute Key Logger. 19. Io e te. 22. Pellegrino gastronomo e scrittore. 23. Giorgio giornalista e scrittore. 25. Iniziali dell'autore di Fontamara. 29. Vidal romanziere. 31. Qualità di legname dello stato indiano del Chhattisgarh. 33. Figlio di Eracle e Onfale. 34. Buntline scrittore, giornalista e pistolero dell'Ottocento. 36. Particella negativa.

Scriviamo un romanzo


Diciamo che siamo stati folgorati da un’idea. Tutti hanno buone idee e ne abbiamo avuta una pure noi proprio ieri notte mentre non riuscivamo a dormire, forse per il caffè, forse per le bollette da pagare, forse per il dannato declassamento della nostra auto da Euro Pinco a Euro Pallino con conseguente aumento di tassazione. Più la accarezziamo nella mente e più quell’idea ci sembra accattivante e suscettibile di miglioramenti e arricchimenti. Sembra quasi creta che da plasmare a nostro piacimento. A un tratto, ecco la rivelazione che pare trasmessaci da un’entità sovrannaturale: e se ne facessi un romanzo? Passato il primo momento di sconcerto, questo proposito non ci sembra poi tanto campato in aria. Non ci riteniamo gli ultimi stupidi del globo e, anzi, a scuola di difendevamo piuttosto bene nei compiti di italiano. Abbiamo un blog che ci permette di allenarci nella scrittura e di migliorare il nostro modo di esprimerci. E dato che la nostra ultima fiamma ha avuto il colpo di genio di lasciarci per un bellimbusto più piacione e più ricco, ci avanza pure un po’ di tempo libero che aspetta di trovare un impiego adeguato.
In ogni modo, ci diciamo, non è che in giro nelle librerie si vedano tutti questi gran talenti letterari. Alcuni best seller ci sembrano delle vere e proprie boiate anche se ben confezionate, e alcuni successi italiani paiono dovuti solo alla tendenza degli autori alla ninfomania o alla frequentazione di tristissimi talk o reality show. C’è posto pure per il nostro tentativo. Abbiamo già tutto quello che ci serve. L’idea fulminante, la voglia di scrivere, il tempo per farlo e una nuova e fiammante tastiera che canta che è una bellezza sotto le nostre dita. Il romanzo può iniziare.

E’ incredibile la facilità con cui spesso ci mettiamo a scrivere narrativa, spesso senza avere la più pallida idea di quali siano le regole per realizzare una storia romanzata. Ci basta pensare di avere l’idea giusta ed ecco che subito ci lanciamo a produrre pagine su pagine sentendoci delle novelle star letterarie. Io stesso quando iniziai a scrivere ero del tutto all’oscuro di alcuni concetti indispensabili per scrivere bene (naturalmente il fatto di conoscere le giuste regole di scrittura non significa che tu le sappia attuare, così come conoscere alla perfezione la teoria del gioco del calcio non significa che tu ti trasformi in Maradona se calchi un terreno di gioco).
In particolare, alcune delle nozioni che non conoscevo e non padroneggiavo e che forse non conoscono e non padroneggiano molti volenterosi scrittori alle prime armi (ma anch’io sono alle prime armi, dato che non ho mai pubblicato niente di soddisfacente) erano le seguenti.

Raccontare contro mostrare. Questa è una delle regole basilari della scrittura ed è sorprendente che così tanti autori, anche noti, non la conoscano o evitino di applicarla con la dovuta intransigenza. Raccontare è più o meno usare la seguente fraseologia “Elena odiava Michele e glielo faceva capire in ogni occasione”. Mostrare è invece scrivere qualcosa come “Elena strappò in pezzi minutissimi tutte le lettere scrittele da Michele, quindi si armò di un paio di forbici e prese a dilaniare il guardaroba del marito”. La prassi generale della narrativa dice che raccontare è una pessima abitudine, mentre mostrare è una tecnica espressiva occhei (bisogna comunque dosare le due situazioni narrative secondo una percentuale desiderabile).

In media res. Altro grave errore degli autori non esperti è quello di iniziare un capitolo – o meglio una “scena” come dicono i manuali di scrittura creativa – in modo lento e tedioso, con la descrizione di paesaggi, stati d’animo o azioni inconsistenti che porta solo ad accumulare pagine inutili e a deprimere il lettore. Il suggerimento è quello di iniziare una scena-capitolo dal mezzo, ad azione avanzata. Se la scena è un litigio, iniziare il racconto a bisticcio inoltrato, se la scena descrive un licenziamento o un matrimonio, iniziare da una strana e inquietante lettera che troviamo sulla nostra scrivania o da un sì in abito bianco. Mostrare prima l’azione; quindi in un secondo momento si avrà il tempo, con una breve digressione, di spiegare come si è arrivati a quel punto.

Pensare per scene. Il pensare per episodi quando si scrive un romanzo è una diretta conseguenza dei primi due punti. Il costruire il tuo romanzo su alcune scene principali ti impedisce di ricorrere troppo al tedioso raccontare, a ciò che l’autrice di un manuale di scrittura creativa definiva “la malattia degli era, erano”: “Elena era una donna sola, terrorizzata dalla vita cittadina. I suoi vicini di casa al contrario erano…”. Pensare per scene evita il lento raccontare e ti costringe a sviluppare trame narrative più efficaci.

Il punto di vista. Anche qui è incredibile notare l’ignoranza assoluta che, perfino scrittori di best seller, mostrano verso questo aspetto della narrativa. Una stessa scena può essere narrata attraverso il punto di vista di Elena, di Michele o del ragazzo che ti consegna la pizza a casa, ossia utilizzando le percezioni, le emozioni e i pensieri di uno qualsiasi dei personaggi di una scena. Oppure ci si può rifare a un punto di vista più esterno e impersonale, che in narrativa viene chiamato “onnisciente” perché è quello di un osservatore esterno che tutto sa di quella situazione come se fosse un piccolo Dio. Un errore che non si dovrebbe fare mai, ma in cui cadono spesso pure personaggi insospettabili, è utilizzare due o più punti di vista nella stessa scena. Ossia passare dalla narrazione attraverso gli occhi (e gli altri sensi) di Elena al racconto che utilizza i sensi di Michele o la visione superiore del narratore onnisciente. Altro grave errore è la moltiplicazione eccessiva dei punti di vista in un romanzo.

Chiaramente gli accorgimenti tecnici e le regole da padroneggiare per chi voglia scrivere narrativa sono molto più vasti di quelli esposti in breve in questo post. C’è da capire come definire efficacemente un personaggio, un ambiente, come utilizzare con parsimonia le potenzialità del dialogo e saper sviluppare una trama, che cosa significano parole come flashback o foreshadowing, come capire se un incipit o se un climax (le parole difficili non mancano in letteratura) sono quelli che fanno al caso nostro. Come condensare e migliorare la nostra prosa. Senza scordare la regola più importante di tutte. Revisionare, revisionare, revisionare tutto quello che si è scritto. Revisionare per poter sopravvivere.

Mi sono dilungato fin troppo in questo post. Ma dato che la vita è lunga (incrociamo le dita) e che anche la permanenza sul blog dovrebbe durare ancora un po’ (ancora dita incrociate)… di sicuro avrò modo di tornare su questi argomenti.

Dio mi scampi dai best seller moderni


I best seller moderni? Spesso è meglio starne alla larga, come dimostra la mia esperienza di lettura del romanzo La verità del ghiaccio di Dan Brown, l’autore del Codice Da Vinci. E’ uno dei dieci volumi da me acquistati di recente e forse non avevo tutti i torti quando mostravo maggiore propensione per le gambe della ragazza, evocate nell’articolo precedente, che per le mie corpose spese librarie.
E’ un romanzo di quasi 600 pagine e credo sia afflitto almeno da quattro difetti principali di cui due, a mio modo di vedere gravissimi. Il primo difetto è promettere una cosa e poi non mantenerla. Questa è una delle regole basilari riscontrabili nelle prime pagine dei manuali di scrittura creativa. Nelle battute iniziali di una storia un autore stabilisce una specie di patto implicito con il lettore. Ci sono alcune promesse che l’autore fa con i primi paragrafi della sua prosa e che deve mantenere in ogni caso se vuole conservare la sua credibilità letteraria. Cioè se prometti un’avventura western, il tuo romanzo deve avere cow-boy e indiani, se prometti una storia con draghi e stregoni è essenziale che ci siano fiammate ed epigoni di Gandalf, se nelle tue prime pagine garantisci love story o sangue e arena, dovrai agire di conseguenza.
Ebbene il romanzo di Brown si presenta in tutto e per tutto, dal titolo, dalla retrocopertina, dall’impostazione generale, come una storia di fantascienza alla Michael Chrichton, ossia la scoperta di una forma di vita extraterrestre nell’Artico. Quest’annuncio già ti prepara a eventuali scenari a te cari, e cioè alla possibilità che il meteorite rinvenuto contenga virus letali potenzialmente distruttivi per vita terrestre, forme di vita intelligente che vogliono impossessarsi del pianeta, una Cosa dell’Altro Mondo ostile e potente o, alla peggio, un E.T. lagnoso minacciato dai cattivissimi militari o guerrafondai yankee.
Leggi le prime cento pagine del romanzo e la vita extraterrestre (e il successivo attacco alla terra) tardano a manifestarsi. Ne leggi altre cento e poi ancora altre cento e la vicenda collegata al meteorite alieno pare quasi una sottotrama, la storia del romanzo si svolge perlopiù a Washington e tratta degli intrighi politici in vista delle elezioni presidenziali americane.
A un certo punto risulta addirittura chiaro che non c’è nessun meteorite di origine extraterrestre, e men che meno forme di vita aliene che cercano di impossessarsi della terra. Quello che c’è è una lotta di potere alla Tutti gli uomini del Presidente. Devo ammettere che giunto a questo punto, mi sono incavolato parecchio. Mi sono sentito preso in giro dall’autore. Io non volevo leggere, non in quel momento una spy story politica, ma un robusto e se possibile appassionante romanzo su una minaccia dallo spazio o sul contatto con una civiltà aliena. Mi sono incavolato perché al supermercato ho comprato una busta di prugne secche della California e dalla confezione sono uscite olive nere di Gaeta.

Il secondo grave difetto del libro di Dan Brown a mio modo di vedere era la considerevole quantità di aria fritta che conteneva. Il romanzo consta di seicento pagine, ma ha materiale solo per arrivare alle duecento. E’ incredibile la successione di pagine e pagine in cui non succede niente, in cui si interrompe la narrazione, già lenta e inconsistente di suo, con pesanti e tediosi flashback sulla solita moglie amatissima e morta o sulla ugualmente amatissima madre morta pure lei. Per andare dal punto A a quello B Brown ci mette una vita. Facciamo un esempio. Mettiamo che tu sia stato convocato dal presidente degli Stati Uniti per una comunicazione privata. Ebbene ci vogliono quattro lunghissimi capitoli, intervallati da altrettanti capitoli di una trama secondaria di cui non ti frega niente, prima che l’abulico presidente si decida a dirti “Veniamo al motivo per cui l’ho convocata”. Devi sorbirti tutta la meticolosa descrizione del viaggio in elicottero, l’ugualmente prolissa rappresentazione dell’Air Force One e delle sue meraviglie elettroniche o del vestiario finto casual del tuo illustre interlocutore. Roba che puoi schiattare di bile prima di sapere che cazzo pretende da te il primo cittadino americano.

Altro errore del libro, errore piuttosto diffuso il letteratura, è la moltiplicazione dei punti di vista da cui si racconta la storia. Invece di concentrarsi su un personaggio principale che faccia da osservatore con poche eccezioni, ecco un proliferare di angolazioni visive, un senatore intrallazzatore, la figlia mandata in Artico, la sua segretaria in bilico tra carrierismo e moralità, una perfida assistente del Presidente che sembra tratta dal telefilm “West Wing”, gente della Delta Force, il presidente stesso, direttori di Nasa o di agenzie spionistiche, un paio di scienziati e Dio sa cos’altro. Il proliferare dei punti di vista è aggravato dal fatto che la maggior parte dei personaggi non sono per nulla interessanti, almeno per me, e ti spingono a qualche cauta imprecazione quando interrompono il flusso principale della storia con la loro irritante presenza a base di aria fritta.
Procediamo con gli elementi fastidiosi, ma ammetto che questo punto potrebbe riguardare solo me. E arriviamo all’insistenza pedantesca e perfino ossessiva che Brown dedica alla descrizione di ogni giocattolo tecnologico in dotazione alle forze speciali americane, fucili che sparano pallottole di ghiaccio, slitte supersofisticate, rivelatori elettronici microscopici, postazioni alla Mission Impossible per comunicare al sicuro da intercettazioni. E baaastaaaaa. Basta con tutte queste pagine di cazzate tecnologiche, amico. Dacci un po’ dei personaggi e storie credibili. Cerca di non soffocarci con tutta questo niente tecnologico. Dacci storie vere o verosimili, dacci personaggi, dacci amore.

Ancora due riflessioni finali. Mi mancano ancora un centinaio di pagine per finire il romanzo, ma non credo che nell’ultimo scampolo di libro ci siano improvvise invasioni aliene o che Brown si metta a scrivere all’improvviso come Tolstoj.
Sono comunque contento anche quando leggo un libro che non mi è piaciuto integralmente. Perché la lettura ti offre sempre motivi di spunti e riflessioni, come è accaduto pure in questo caso e con questo post.

Carico di libri, in bilico tra felicità perfetta e perfetta coglioneria


Sei giù di corda. Le cose non vanno. Hai la luna storta. Bisogna correre ai ripari. Che fare? Passeggiare, ascoltare musica, andare a cinema? No, questi sono palliativi buoni per lenire un poco di monotonia. Quando la situazione si fa grave, esiste una sola via d’uscita per far tornare il sorriso sul tuo volto rabbuiato. Shopping.
Eccola qui, la parola magica che tiene alla larga i cattivi umori: shooooppingggg!!!!

I problemi non sono finiti, perché esistono tanti tipi di shopping quasi per quante persone abitano questa valle di lacrime. Comprare, sì, ma che cosa? Di quali oggetti devi impadronirti per gratificare la tua anima abbacchiata? La scelta più facile sarebbe spendere in abbigliamento. Comprare pantaloni, felpe o scarpe alla moda per migliorare il tuo aspetto fisico e quindi il tuo ascendente presso gli altri. Ma c’è il problema che a te non te ne frega niente di come vesti, porti lo stesso tipo di jeans da un quarto di secolo e scarponi robusti, brutti a vedersi, ma ottimi per camminare. Allora che cosa comprare? Un telefonino di ultima generazione, un navigatore satellitare, qualche sofisticato ammennicolo da computer o perfino una pizza quattro stagioni? Ancora non ci siamo. La maggior parte di quegli oggetti è fuori dalla portata delle tue tasche (e poi non sapresti che fartene di un navigatore satellitare o di un odioso telefonino Facciotuttoio)… La pizza? Quella ti rimane sullo stomaco. Però a ben vedere non sei messo male. Perché c’è qualcosa che ti piacerebbe acquistare. I libri. Ne vai matto. Romanzi di avventura o saggi scientifici divulgativi. Ecco la direzione in cui puoi dirigere il tuo shopping scacciapensieri. E sei pure fortunato, perché nella tua partenopea città, e segnatamente nel luogo denominato Port’Alba, ci sono bancarelle dell’usato in cui puoi acquistare ottimi libri a poco prezzo.

Ieri ero un pochino a corto di buonumore e ho quindi deciso di dedicarmi al mio shopping preferito – che per mia fortuna è il solo shopping che posso permettermi – l’acquisto di libri usati. In tutta sincerità avevo poche speranze di trovare buone occasioni sulle bancarelle (ormai note ai frequentatori di questo blog) della napoletana Port’Alba. Infatti, arrivando da via Mezzocannone a piedi come mio solito, ho notato che le prime bancarelle non presentavano novità degne di nota e che per di più i prezzi risultavano per niente attraenti, da cinque a dieci euro. Poi a un tratto sono rimasto di sasso.
Una libreria nella quale a dire il vero non ci avevo quasi mai comprato niente era letteralmente gonfia di volumi nuovissimi, rilegati con cura, stampati in caratteri nitidi e grossi e perfino con le pagine che odoravano di nuovo. Il prezzo? Pareva un miraggio. Due euro a volume (per libri che spesso davano l’impressione di costare dieci volte tanto). Non credevo ai miei occhi. Ho occupato subito una posizione strategica sulle bancarelle, scalzando alcuni perditempo che rovistavano senza convinzione. Quindi ho cominciato a impadronirmi di romanzi su romanzi. A un tratto il proprietario della libreria mi ha invitato a scegliere la merce dentro la libreria, perché avevo accatastato tanti di quei volumi sulle bancarelle che impedivo l’accesso ad altri eventuali acquirenti.
Il mio bottino finale è stato di dieci robusti volumi, per una spesa di venti euro (cifra non irrisoria per le mie tasche, ma molto ben investita nell’occasione). Ho preso un paio di romanzi avventurosi di Wilbur Smith, qualche thriller tecnologico, un giallo ambientato in epoca vittoriana, un saggio di evoluzionismo di Stephen Jay Gould e un robusto volume di Vittorio Zucconi su Cavallo Pazzo e sulla tragedia dei Sioux. Ho stimato di essermi impossessato di qualcosa come cinquemila pagine stampate e il fatto di averle pagate solo venti euro mi dava una gioia profonda difficile da spiegare. Leggere qui per avere maggiori dettagli

Ovviamente il buon Dio ha ritenuto che la perfetta e travolgente felicità che percepivo, mentre sfociavo a piazza Dante con una voluminosa busta contenente libri più numerosi e pesanti di quelli dello zaino di uno studente secchione, fosse troppa per un semplice mortale… Ed ecco quindi che ha ritenuto di ammonirmi a non gioire troppo. Infatti, non ero nemmeno giunto a metà della piazza che mi sono bloccato sentendomi un coglione di quelli brutti. Diciamo pure uno di quei babbei calzati e vesti che sembrano ridicoli perfino nelle operette.
E’ accaduto che mi sono girato e ho visto alcune ragazze attraenti, di cui una magnifica in minigonna, che ridevano con giovanottoni ghignanti all’apparenza non troppo inclini al pensiero riflessivo. La situazione era più o meno la seguente. Qui nel mio pugno c’era la busta di libri che mi segava la mano con il suo onusto fardello e lì c’erano le gambe della ragazza, quella bella. Mi sono detto qualcosa che suonava come: ma che cazzo ho da essere felice?
Non mi resta che ringraziare il Cielo per avermi allontanato dalla lussuriosa gioia a cui a volte può spingerci la letteratura e avermi riportato nell’ambito della modestia terrena. Ora però comincio ad attaccare il libro di Zucconi sui Sioux. :-)