Criminali umani


Scrissi la prima stesura di Atto d’amore molti anni fa e poi la tenni nel cassetto. Volevo parlare di un balordo, uno stupratore, un tipo che si comporta davvero male, non per finta, che non ha sensi di colpa. E volevo che a un tratto questo personaggio provasse un'emozione nuova, diversa, qualcosa che sconvolge il suo equilibrio interno, perché nonostante il suo comportamento aberrante il protagonista aveva un suo equilibrio per quanto anormale, per esempio non era un assassino. Ho cercato di spiegare questo mio intendimento con un paio di frasi sulla quarta di copertina, quando dico: "l'amore fa impazzire? Forse. L'amore crea mostri? Può darsi."
Come tutti, spesso sento notizie inquietanti al telegiornale. Omicidi, stupri, massacri, mostri di ogni tipo. Spesso mi chiedo come sono nella vita di tutti i giorni gli autori di quei crimini. Qualche volta mi pare di immaginare che siano esseri umani come me e come le persone che si incrociano per strada. Gente che sogna e forse soffre. Gente che qualche volta ride e che probabilmente vorrebbe essere diversa da come è. Ricordo che mi impressionò molto una notizia che sentii più di un anno fa. Riguardava Natascha Kampusch, quella bambina diventata poi giovane donna rapita da un uomo adulto con evidenti problemi di comportamento e poi segregata in cantina per anni. Il giorno in cui diedero la notizia l'uomo si era appena suicidato buttandosi sotto il treno. La ragazza, Natascha, si accusava della morte del suo rapitore. Disse che sapeva che lo avrebbe ucciso se fosse scappata come poi aveva fatto. Non si afferrava molto di quella storia, si capiva che c'era stata molta infelicità in quell'insano rapimento, e si intuiva pure, perlomeno lo intuii io allora, che i rapporti tra orco e ragazzina erano molto diversi da come potevano apparire a prima vista. C'era qualcosa che non si coglieva e che probabilmente non si sarebbe colto mai. Quella storia mi impressionò tanto che scrissi un post intitolato "Due esseri umani".
Pensai che dopotutto siamo tutti esseri umani, anche se tutti evidentemente meritano una giusta punizione per i loro delitti.

Prefazione on the rocks



Ecco la prefazione dei blogger al mio romanzo di cui parlavo qualche post sotto:

In un primo tempo non consideravo con favore l'idea di una prefazione. Mi pareva un elemento prolisso in cui qualche personaggio più o meno accademico finisce per dire cose più o meno pompose e più o meno noiose sulla tua storia. Però un lettore mi ha fatto rilevare la mancanza di questo elemento del libro e
si sa che il lettore ha sempre ragione. Ho avuto un'idea che mi pare buona. Invece di interpellare il severo personaggio in questione, che tra l'altro non so neppure dove andare a pescare, il mio libro ospiterà una prefazione basata sui commenti di alcuni blogger. Secondo me potrebbe venirne fuori una cosa più interessante e frizzante e in ogni modo si tratterebbe di un gioco. Infine il blog è stato il mio mondo negli ultimi due anni e non può sembrar strano che io mi rivolga a esso. Viva i blogger, dunque, perché quando sono schietti, a mio avviso, hanno qualcosa della libertà, dell’imprevedibilità e dei mille colori degli artisti da strada.

Francesco Cinque


Il tuo libro ha avuto il tempismo di arrivarmi durante un'influenza che mi ha costretto a letto per quattro giorni. Così, non solo mi sono potuta dedicare alla lettura senza altri pensieri visto che ero in malattia, ma è stato anche un alleato contro la noia. L'ho praticamente letto tutto di un fiato e mi è piaciuto molto. Mi è piaciuta la storia, ma soprattutto i personaggi. Ognuno ha qualcosa di particolare, stravagante e commovente allo stesso tempo. Dal maniaco, a Teresa, al barbone dalla dubbia nazionalità, fino alla dottoressa che porta il mio nome. Bellissime le considerazioni sull'amore. Spero che ti diano la possibilità di pubblicare ancora.
Simona: http://corrosempre.blog.tiscali.it

Ho appena finito di leggere il romanzo. Il libro è davvero incisivo, si legge con pathos, che hai saputo trasmettere fin dalle prime righe. La descrizione dei dettagli femminili, così minuziosa e intimistica, denota un occhio attento e sensibile. Mi è piaciuta la scelta di non nominare il personaggio principale maschile [in realtà un nome ce l’ha NdR], ma solo caratterizzarlo fortemente sul piano psicologico: un nome sarebbe stato troppo comune per un uomo che di comune non ha nulla. Infatti lui è solo il numero che sta sulla pedana al terzo capitolo. La sua abitazione scarna con la brandina recuperata, il suo alcool scadente, stride con lo spessore di un liceo fatto da ragazzo e questo lascia molto spazio all'immaginazione sui possibili retroscena che possono averlo condotto in questo baratro. Poi la protagonista, Teresa, un nome che ti entra dentro le orecchie, sottolineato in un passaggio con un corsivo che attira, come la sua gestualità, il sorriso beffardo e la tosse stizzosa. Sembra quasi di vederla nella stanza muoversi. Il Finale lascia un bel sapore perchè hai saputo fino alla fine regalare una tensione continua. E sono già prenotata per il prossimo.
Fantaghirò: http://fantaghiro.blog.tiscali.it/

Ieri mattina è arrivato il libro e ieri pomeriggio l'avevo già finito. all'inizio ho pensato che stavi messo male te e il tuo romanzo. :) Poi più leggevo e più mi piaceva e m'intrigava... mazza quante botte!! Menomale che c'era Teresa col cannone altrimenti appeso ci rimaneva. L'atto d'amore non ha confini e te sei un grande romanziere! Ne è valsa la pena di leggerlo.

Indio: http://invisibili.blog.tiscali.it

Bene, il libro l'ho trovato scorrevolissimo, alla [qui si fa il nome di uno scrittore americano ammirato e vendutissimo, paragone che sembra eccessivo NdR], originale e mi è piaciuto molto. Sei riuscito a dare un'anima a uno stupratore, inimmaginabile nella realtà quotidiana dove troppe donne soffrono per gli abusi sessuali di individui orribili, ma sei stato credibile a tal punto che nel finale mi sono commossa. Leggendo poi posso dirti di aver ritrovato "sfumature di blog".

elle: http://lelli.blog.tiscali.it

L'amore che si respira nel libro è un po' particolare non è l'amore a cui noi tutti siamo abituati non è l'amore fatto di sesso, di dolcezza, di abbracci, di lusinghe, di tenerezza. E' l'altro, quello "meno normale", quello che sai che non potrai mai ricambiare nemmeno se vivessi altri cento anni. Come dice bene l'uomo senza nome nelle ultime pagine del libro, "te lo dico io cosa è l'amore, quello vero quello che ti annienta qui dentro, l'amore è quando ti pare di aver ricevuto un dono". La storia è dolorosa. La storia è maledetta. La storia è di difficile comprensione. La storia è una gran bella storia con un finale inatteso. L'uomo senza nome fa quasi tenerezza alla fine, e io mai avrei immaginato dopo la prima pagina di poter provare un sentimento simile. Il libro è un libro che impieghi un po' a capire, ma che quando finalmente lo fai ti liberi da preconcetti e da pregiudizi.

Celia Sanchez: http://radioribelle.blog.tiscali.it

Atto d'amore. Sembra quasi la premessa per uno di quei romanzi rosa che tanto piacevano alle nostre nonne. Chi si attende un romanzo leggero ed ironico, intriso di sentimentalismo, sbaglia. Non è così. Tutt'altro. L'impatto con la storia è duro e sconvolgente. E' un romanzo fuori dagli schemi, di tutti quelli (forse centinaia) che ho letto finora. Se da questo libro si traesse un film, (e penso che sarebbe molto interessante), sarebbe un film vietato ai minori. Difficile definire l'anonimo odioso protagonista, uno psicopatico? Probabilmente no, perché è incredibilmente lucido. Uno psicotico? Forse. Di sicuro un uomo vuoto e del tutto amorale. Non ha amici. Non ama nessuno e neppure sé stesso. E' un violento, un drogato, uno stupratore seriale. Eppure una donna, che l'ossessiona con la sua bellezza, con il suo carattere fortissimo e con comportamenti apparentemente al limite della follia, riesce a destare qualcosa nel groviglio contorto della mente del protagonista. Che cosa? Qual è l'atto d'amore? Starà al lettore scoprirlo nelle ultime allucinanti pagine del libro.

Sergioberto: http://sergioberto.blog.tiscali.it

Atto d'amore è un libro che coinvolge. Crudo e violento ma vero, fino in fondo. Un libro scritto dall'ottica del cattivo, riesce a farti immergere nel suo buio e trascinarti dentro senza farti respirare, fino a farti tifare per lui, perchè lui ti farà capire qualcosa che spesso i nostri occhi non vedono. Per me scoprire Francesco Cinque è stato un immenso piacere, ancora più immenso nel farlo pubblicare.

Mariella: http://schizofrenieletterarie.blog.tiscali.it

Un romanzo la cui lettura toglie il fiato. Oltre il buio tocchi l'amore, un amore che oltrepassa i canoni comuni...

Cleide: http://cleide1967.blog.tiscali.it

La mia musa letteraria


Ho commesso una voluta svista nel titolo. In realtà Mariella, di cui parlerò in questo post, non è la mia musa ispiratrice letteraria, ma più una traghettatrice, una specie di valorosa Caronte che mi sta facendo guadare l'impetuoso e periglioso fiume dell'editoria.

Feci la sua conoscenza parecchi mesi fa, doveva essere qualche settimana dopo che ebbi pubblicato il post Il blog, ovvero la fulgida Spada della Libertà editoriale, in cui sostenevo con una punta polemica che il blog è alla fin fine è meglio e più democratico dell'editoria classica che pubblica romanzi. Per uno di quei casi della strani della vita, poco dopo aver sparato contro il mondo dell'editoria ecco che quel mondo, sempre distante e irraggiungibile, si palesò a me. Ricevei un messaggio personale dal mio blog. Una certa Mariella che lavorava nel campo della narrativa affermava di aver letto e apprezzato i miei post e mi domandava se avessi scritto qualcosa di più lungo come un romanzo. Ebbi qualche esitazione perché non scrivevo più narrativa da un bel po', ma dopo un'attenta riflessione dissi che sì, forse avevo un romanzo che poteva rientrare nell'argomento giallo-erotico indicato dalla mia interlocutrice. Gli si poteva dare una sistemata e vedere che effetto faceva.

Rispolverai i vecchi file del romanzo, ci mettemmo io a scrivere e Mariella a leggere e a valutare ed ecco che alla fine la mia storia fu pronta per essere pubblicata con il titolo di Atto d'amore. Si sa che i tempi dell'editoria non possono essere fulminei quindi ci vorrà ancora qualche mese prima che il mio romanzo vada in stampa.

La prefazione dei blogger


Ieri sergio berto mi ha fatto rilevare in un commento la mancanza di una prefazione al mio romanzo Atto d'amore. Il fatto è dovuto a un errore editoriale che ha mandato in stampa il libro in anticipo. In un primo tempo non consideravo con favore l'idea di una prefazione. Mi pareva un elemento prolisso in cui qualche personaggio più o meno accademico finisce per dire cose più o meno pompose e più o meno noiose sulla tua storia. Però il lettore ha sempre ragione e ho deciso di rimediare alla mancanza. Ieri sera mi è venuta un'idea che mi pare buona. Invece di interpellare il severo personaggio in questione, che tra l'altro non so manco dove andare a pescare, al mio libro si potrebbe fare una prefazione basata sui commenti di alcuni blogger. Secondo me ne verrebbe fuori una cosa più interessante e frizzante. Si potrebbe introdurre questo contributo con una frase in cui dico grossomodo che dato che il mio mondo è quello del blog ho preferito affidare a questa nuova e dinamica specie umana la presentazione del mio libro. I blogger hanno parecchi difetti, ma certo ti fanno annoiare meno di qualche professorone con la puzza sotto il naso.

Quindi raccolgo alcuni dei pareri degli amici che già hanno letto il mio romanzo e li inserisco nella prefazione. Poiché lo spazio è comunque limitato e i tempi sono ristretti, mi scuso con coloro che resteranno esclusi dal nostro gioco spero interessante.

Nella foto ho messo dei ragazzi che fanno murales perché i blogger a mio avviso, quando sono schietti, hanno qualcosa della libertà, dell'imprevedibilità e dei mille colori degli artisti da strada.

Disegnare la copertina del tuo romanzo



Disegnare la copertina del tuo primo romanzo, dopo che non tocchi una matita da qualche decennio e scoprire che l'immagine che crei, a dispetto di ogni previsione, non è poi tanto malvagia.
Capire tu non puoi, tu chiamale se vuoi emozioni.Come qualcuno saprà devo pubblicare un mio romanzo in un futuro non lontanissimo, ma nemmeno imminente. Come qualcun altro potrebbe aver saputo da un mio vecchio post, in passato ho cercato di fare il disegnatore di fumetti. Non è strano che a un certo punto io abbia potuto immaginare la copertina del mio romanzo. E' un po' più strano l'aver pensato di riprendere in mano matita e fogli da disegno dopo una vita.
Per un po' ho tentato di respingere questo mio impulso. Non si contano gli anni intercorsi da quando ho appeso al chiodo gli attrezzi da disegno. E anche quando mi esercitavo tutti i giorni copiando le tavole dell'immenso Burne Hogart - ossia del più grande disegnatore di Tarzan e di una delle più belle matite di tutti i tempi - beh, nemmeno allora ero un granché come fumettaro. Insomma, mi impegnavo molto, sono uno che ci dà dentro sempre, ma il talento con la matita è un'altra cosa.

In ogni modo ho deciso che un tentativo di disegnarmi la copertina del romanzo si poteva sempre farlo. Di certo non sarebbe morto nessuno. Sono quindi andato nella più grande cartoleria napoletana, la Guida, che neanche a farlo apposta si trova nella (in questo blog) pluricitata Port'Alba. Sono salito fino al secondo piano del negozio, quello dedicato agli artisti, piano a cui non salivo da quasi vent'anni. Ho ritrovato subito antiche emozioni rivedendo pennini e inchiostro di china, pennelli e manuali per imparare a disegnare. Mi è sembrato di mettermi in una macchina del tempo e tornare a un mondo che ormai non c'è più. Il massimo dell'emozione l'ho provato quando ho avuto in mano una boccetta di inchiostro nero di china. Immaginavo di immergervi un pennello e poi passare delicatamente le setole dell'attrezzo intrise di nero seppia su un foglio Bristol. E' un'emozione che può comprendere solo chi si sia dedicato a questa pratica, anche perché usare bene il pennello con la china è una pratica che riesce solo ai maestri dell'illustrazione (io per esempio non ci riuscivo, usavo il pennello solo per riempire grandi spazi neri).
Comunque non la faccio lunga, anche se le suggestioni al secondo piano della cartoleria erano tante. Ho comprato un po' di attrezzi da disegno, cercando di spendere poco perché avevo seri dubbi sull'esito del mio tentativo. A casa tuttavia, pur dopo un lungo periodo di riassestamento, sono riuscito a creare una figura che si avvicinava alquanto alla mia idea. Qui ho esitato. Si trattava di ripassare a china la figura. Situazione da prendere con le molle perché già quando sei allenato non è raro che inchiostrando un buon disegno lo rovini. In tutti i casi indietro non si poteva tornare. Mi sono raccomandato l'anima a Dio e ho inchiostrato. Ci ho dovuto dare dentro di gomito, dato che c'era da riempire di nero larghe sezioni di foglio.

Il risultato finale dei miei sforzi artistici non è malvagio. Non so se l'immagine che ho creato possa essere un'efficace copertina di romanzo. Però so che è una discreta illustrazione da fumetti. Insomma, si può fare pure di peggio di quanto ho fatto io.
Il problema è che non ho lo scanner. Quindi al più presto, metto il mio disegno o una fotocopia in una busta e la spedisco al mio editore. Se anche il mio disegno non fosse adatto a una copertina di romanzo, mi sono comunque divertito a farlo. E' stata una bella esperienza. E' proprio vero che non bisogna mai dire mai. Nella vita prima o poi torni a fare pure cose da cui avevi giurato di stare alla larga.

La copertina del romanzo da me disegnata è quella sopra. Ha perso nitidezza nel passaggio nello scanner, ma il disegno è quello.

Babbo Natale in libreria


Uno pensa, ho scritto un libro, un vero libro, e sembra pure non troppo malvagio. E' stato un lavoraccio, ma ormai è passata. Ci ho lavorato un sacco a quel romanzo, pensa uno, un tempo inenarrabile a ideare la storia, plasmare i personaggi, arricchire l'ambientazione e a scrivere dialoghi e poi a cancellarli, a spremerti le meningi per trovare un parolone trombone destinato a finire cestinato dopo due secondi, a modificare frasi e concetti e a revisionare, revisionare, revisionare ogni singola parola, a tonificare questo o quel verbo, a sostituire le tue originarie virgolette francesi con l'eleganza delle inglesi per poi scoprire che nelle bozze librarie le sopravvissute solite virgolette francesi ti spernacchiano alla grande. E' stata una faticaccia, ma ormai è andata. Ho trovato il titolo adatto, rimugina sempre quell'uno, e ho perfino prodotto, dopo secoli di astinenza dalla matita, un discreto disegno in bianco e nero da usare all'occorrenza per la copertina del romanzo. E' stata una sfacchinata da isola dei ciclopi, ma è finita, no? Ora tocca gli altri, no? Ormai sei fuori, non è vero? Ti puoi godere il riposo dei giusti osservando come gli altri ti vendono il romanzo partorito con tanto sudore della fronte e di altre parti del corpo. E' così, vero?

Niente di più sbagliato. La vera fatica comincia qui. Ciò che hai fatto finora è niente. Niente, nulla, nisba, zero, vuoto galattico. Perché ora bisogna vendere la tua creatura. Be', ti dici, e qual è il problema? C'è l'editore, persona ottima. Ci sono i suoi meritevoli collaboratori. La macchina editoriale provvederà a immettere il tuo figlio letterario nelle librerie. La gente lo prenderà in mano. Ne leggerà qualche pezzetto. Qualcuno potrebbe essere attratto dalla trama o dai personaggi. E poi non costa nemmeno molto. Non è così difficile immaginare qualche buon samaritano diretto alla cassa della libreria con il tuo romanzo in mano, no?
Sbagliato. Anzi sbagliatissimo. Il primo ostacolo a questo scenario roseo è che il tuo libro arriverà nelle librerie in cui potrà arrivare, non molte. Hai pubblicato con un piccolo editore, che pur essendo serio e correttissimo non ha certo la rete di distribuzione di Mondadori. Il tuo romanzo giungerà dove potrà. Inoltre anche i librai che avrai raggiunto considereranno il tuo romanzo come uno tra mille o meglio tra diecimila. Ci sono delle gerarchie da rispettare nell'esporre i libri. Prima di te vengono i best-seller o gli scrittori con una qualche notorietà, fosse pure quella di una valletta televisiva. Poi ci sono gli autori segnalati da giornalisti o opinionisti letterari, meglio se famosi pure questi ultimi, quindi gli scrittori tuoi parenti o amici o Amici degli Amici, Omini de Panza mica Quaquaraquà. E ci vogliamo per caso scordare di quel bravo guaglione che tu libraio hai cresimato quasi l'altro ieri il quale ha buttato giù pure lui il suo bravo diario cartaceo? Tutto qui? No, c'è pure quel po' po' di figliola che passa ogni sabato nella tua libreria, comprando poco, è vero, ma indirizzandoti qualche monosillabo che ti fa sentire per un istante un casanova. Sì, pure la fatalona ha scritto un libro. Mica vogliamo scordarci proprio di lei quando ci sarà da esporre i titoli?
Alla fin fine il tuo romanzo ha una probabilità prossima allo zero non solo di essere acquistato in libreria da un normale lettore - cioè non da un tuo parente catechizzato a dovere - ma persino di finire nel campo visivo anche periferico di questi. Pertanto, se il tuo libro non si vende in libreria o in luoghi affini, non rimane che una sola possibilità: il libro te lo devi vendere tu.

Ma come? Non si era detto che le fatiche erano finite? Non si era detto che dopo mesi e mesi lavorativi senza compenso, dopo notti insonni a revisionare il già revisionato, dopo millanta imprecazioni e angosce diuturne le tue pene fossero ormai alle spalle? Stupidaggini. Il bello cioè il brutto viene ora. Perché vendere un libro è mille volte più problematico e fastidioso che scriverlo. Anzi, se non in casi rari, la qualità di ciò che hai scritto non ha nessuna influenza sul numero di copie vendute. Venderai o non venderai per ragioni complicate, che quasi mai hanno attinenza con il valore della tua prosa.
La cosa migliore ovviamente sarebbe diventare famoso, partecipare a qualche programma televisivo, un reality show di chiacchiere, possibilmente sciocche, possibilmente litigiose, possibilmente volgari, possibilmente scambiate in mutande. Dato che questa ghiotta possibilità non è concessa a tutti, ti rimane sempre l'estrema ratio. L'ultimo asso da giocare. Ossia puoi pubblicizzarti da solo. E sei pure fortunato perché la stagione è quella propizia. Quindi non rimane che vestirti da Babbo Natale e caracollare per le rutilanti strade della tua città accarezzando la testa di antipatici e scostumati mocciosi, farti immortalare con sorrisi agonizzanti in foto con i suddetti mostriciattoli lagnosi, evitare di farti prendere dagli stessi a morsi, a parolacce, a pistolettate ad acqua, a calci negli stinchi o nei cosiddetti, a ditate negli occhi, sputi in faccia... e infine, dopo essere sopravvissuto alle veementi aggressioni dei piccoli criminali, estrarre le copie del tuo romanzo nascoste sotto la fluente villosità santaclausiana e cercare di rifilarle agli odiosi genitori degli odiosi mocciosi. Il tutto sperando che nessuno noti che la tua fatica letteraria non ha niente, ma niente dell'atmosfera natalizia che cerchi di sfruttare a tuo vantaggio.
Ho già fatto una sortita in un negozio che affitta vestiti di Babbo Natale. Mi hanno proposto un discreto costume a un prezzo ragionevole e credo che non mi lascerò scappare l'occasione. Quindi, cari amici virtuali e non, se nei prossimi giorni incrocerete per le strade di Napoli uno strano Babbo Natale piuttosto accigliato, uno che potrebbe avere l'aria di volersi trovare in un altro emisfero, che pare sull'orlo di un'esplosione d'ira stile Iliade, uno che porta scritto un grosso Vaffa Fuffa sull'esigua porzione di labbra visibile... ebbene non siate troppo severi con lui, perché quello sventurato Babbo Natale potrebbe essere il qui presente Capitano che tenta di sbolognare al prossimo due o tre copie del suo romanzo.

A Natale fa bene farsi due risate. Ringrazio Mariella Calcagno, la valente direttrice della collana Afrodite della Graphe.it, e Roberto Russo il mio editore, due ottime persone che sono certo sorrideranno pure loro per questo post.

Intervista di Critica Letteraria


Ciao Francesco, innanzitutto grazie per aver accettato la proposta di rispondere a qualche domanda per farti conoscere meglio. Meglio in qualità di romanziere, perché invece sappiamo bene che nel mondo dei blog, con il nickname di Mio Capitano, godi di una meritata celebrità (http://penultimi.blog.tiscali.it/).

Qui, invece, ti vediamo abbandonare la riflessione ironica e autoironica a cui hai abituato i tuoi fans sul blog, per affrontare un tema insolito e spinoso quale la violenza sessuale: si tratta forse della seconda faccia della stessa medaglia, di una sfida personale o di qualcos’altro?

In realtà io non volevo parlare soprattutto di violenza sessuale nel mio romanzo. Mi interessava descrivere un personaggio ai limiti della società, stanco, che non crede in niente, nemmeno in se stesso. Volevo mostrare un tipo umano piuttosto diffuso nel nostro modo di vivere, che si trascina di giorno in giorno in un processo di autodistruzione progressiva.
Il tema dell'amore è presente sin dal titolo; ma non si tratta, come spiegato dal protagonista nel suo ultimo, finale monologo, di un amore comune. E in verità la sfera emotiva dei personaggi si colloca in un piano surreale, allucinato, in cui non esistono mediazioni ma solo tensioni estreme... Interessante il titolo che, perdonami se lo rivelo, ma si comprende praticamente alla fine del romanzo. Come mai questa scelta?
Il titolo nasconde uno dei tanti paradossi dell’amore. L’atto di amore può essere semplicemente quello di rinunciare a questo sentimento quando finalmente lo incontri nella tua vita, forse per la prima e agognata volta. L’amore può essere rinunciare all’amore, leggendo il romanzo spero si capisca meglio.
E così, “Atto d’amore”. Chi compie quest’atto, il narratore attraverso i cui occhi assistiamo al dipanarsi della vicenda, è certamente un personaggio sui generis; non un impiegato di mezza età, non un aspirante eroe, ma uno stupratore. Per quale ragione hai scelto di narrare dal punto di vista di un individuo ai confini della società?

Non lo so. Qualcuno ha detto che i cattivi sono più interessanti da raccontare dei buoni. In ogni caso io penso che siamo tutti esseri umani. Anche nel cittadino comune c’è un lato oscuro e torbido e anche nel criminale c’è un aspetto umano.
Sappiamo che generalmente ogni scrittore ha una sorta di amore-odio nei confronti del proprio protagonista: quale aspetto prevale nel tuo caso?
Non so quale aspetto prevalga in me. Ma so che scrivevo con facilità il romanzo, come se avessi instaurato un buon collegamento psicologico con il protagonista e con il suo modo distorto di vedere il mondo. In certe parti mi fa quasi pena perché è un tipo che ha rinunciato a vivere, non si aspetta niente dagli uomini e dalla vita.

La scena più forte è proprio all’inizio, quando il protagonista cerca di violentare Teresa, personaggio-fulcro del romanzo. E’ questo incipit una sorta di sfida nei confronti del lettore e in particolare del pubblico femminile?
Non so perché mi è venuto un incipit così forte. Probabilmente perché mi sono reso conto che attraverso le fasi della violenza si riusciva a capire una parte della psicologia del protagonista.
La stessa protagonista femminile, Teresa, è investita da questo doppio livello di amore e odio: il desiderio di possederla e l’odio per la sua risata piena di derisione (finta). Possiamo dunque desumere che ci sia una certa somiglianza tra i personaggi?

In effetti è vero. Teresa somiglia molto al protagonista. Sono tutti e due disperati, per ragioni diverse. Il personaggio di Teresa mi affascinava perché faceva regolarmente il contrario di ciò che ti aspetti.

Con “Atto d’amore” hai scelto di affrontare tematiche “forti” come la violenza sessuale e l’eutanasia. Cosa ha spinto la tua sensibilità di scrittore su questi argomenti controversi?

Più che altro è capitato. Non credo che si scriva un romanzo perché si vuole prendere posizione su determinate questioni. Ci si fa guidare dalla storia, dovunque essa porti. La storia e i personaggi dettano legge.

Come da te più volte ribadito, la tua città, Napoli, ha un ruolo di spicco nella tua vita di uomo, blogger e scrittore. All’interno di “Atto d’amore”, Napoli potrebbe essere considerata un personaggio a sé, sfondo vivo del racconto: cosa puoi dirci a proposito?

Ti rispondo con un brano di un mio post. Per molti anni non ho voluto ambientare le mie storie a Napoli perché detestavo certi pittoreschi aspetti da cartolina che associavo alla mia città. Poi d’un tratto zac, ho cambiato idea. Ho visto Napoli con occhi diversi non solo in letteratura. Dove prima coglievo basso folclore buono per i turisti nordici che dicono Wonderful agli scugnizzi e alle pescivendole di Porta Nolana, ora vedevo colori a migliaia, vitalità, mistero. Posti e personaggi affascinanti utili per ambientare qualsiasi storia, seria e meno seria, tradizionale o innovativa, gialli, horror, vicende politiche, di denuncia e persino avventure di fantascienza o di fantasy. I vicoli partenopei si adattano a ogni trama, intreccio, situazione o argomento riproducibili in narrativa, così mi pare adesso, e tutto possono valorizzare i chiaroscuri dei bassi, il caos delle strade, il brulicare di umanità.

Una curiosità: quando hai iniziato a scrivere il romanzo, avevi già chiaro in testa il finale o è stata una conclusione a cui sei giunto durante la stesura?
Sapevo quale doveva essere il finale a grandi linee. Un balordo trovava l’amore, lo perdeva prima della fine della storia e se ne restava a contemplare triste questa sua incredibile esperienza svanita come chi guarda la pioggia dalla finestra.
E, sempre parlando della stesura, dimmi: hai meditato a lungo la storia o è stata un’ispirazione istantanea? Se si tratta d’ispirazione istantanea, vuoi raccontarci quando e dove è nata? Da cosa?

La storia è nata molti anni fa come racconto e poi è stata tenuta nel cassetto. E’ stata ripresa e ampliata quando ho avuto una proposta di pubblicazione sul blog da parte di una persona che apprezzava i miei post. Ciò che mi spinse a scriverla fu indubbiamente il desiderio di descrivere un individuo amorale, violento e disperato che un giorno… si innamora. Volevo immaginare cosa sarebbe successo in quel caso.

Se dovessi, un po’ crocianamente, definire il tuo romanzo con una formula breve, cosa conieresti? Un thriller che fa pensare. Immagino ti siano arrivati molti commenti sul blog, ma anche privatamente. Vuoi raccontarci quelli che ti hanno colpito di più?
Mi sono arrivati tanti commenti di blogger che a un certo punto ho deciso di utilizzarli per una prefazione al mio romanzo, che in effetti mi piace molto, la trovo schietta e vivace. Mi ha colpito il fatto che il libro non lasciasse indifferente nessun lettore, sia quelli che mostravano di apprezzarlo, sia quelli che avevano qualche dubbio. Il mio romanzo ti costringeva a prendere posizione, mi pareva una gran bella cosa.

Consideri “Atto d’amore” un
unicum nella tua produzione letteraria o conti di proseguire con qualche altra opera?

Senza dubbio penso di continuare a scrivere e penso che in quel caso parlerò ancora di personaggi con difficoltà esistenziali.

Ti ringraziamo per la disponibilità, ci auguriamo di poter ripetere l’esperienza per un’altra opera firmata Francesco Cinque.

Intervista a opera di Laura Ingallinella e Gloria Ghione del blog Critica Letteraria

Intervista a informasatira

Tredicesima intervista per “Giù la maschera” (che nella categorie trovate nella sezione “Giù” non so spiegarvi il perché). Questa settimana intervistiamo http://penultimi.blog.tiscali.it//
un blog di approfondimento curato e intelligente.
Ecco poche parole di introduzione da parte del blogger: “Il mio blog è nato nel febbraio 2006. Vidi una blogger di tiscali nella trasmissione “Piazza Grande” con Giancarlo Magalli, cercai il suo blog (è quello che segnalo qualche riga più sotto), lo lessi, le scrissi e poco dopo avevo già aperto un blog ed ero prigioniero di questo mondo. Non scorderò mai le emozioni fortissime dei primi giorni che stavo sul blog, era quasi come essere innamorati. Anche ora comunque questo mondo mi piace molto”.

D. Cosa fai nella vita di tutti i giorni?
“Scrivo, leggo, mangio, dormo, cose così”.

D. Tu sei di Napoli. Premesso che io adoro il Sud ed ho amici e parenti proprio del napoletano, vorrei chiederti una cosa. A Napoli c’è una diffusa illegalità, la camorra la fa da padrona, nascono discariche abusive ovunque, si pagano meno tasse che in molte altre città italiane: non è che la colpa di tutto questo è anche dei napoletani?
“Sulla faccenda delle tasse non sarei d’accordo, si pagano pure qui e talvolta sono esagerate. Il resto è abbastanza vero, anche se non è tutta la verità. L’illegalità e il malcostume delle nostri parti ha un’origine antica. La camorra esiste, inquina la vita civile e una parte consistente della colpa è dei napoletani che non fanno abbastanza per opporsi a questa organizzazione criminale. In ogni modo non tutte le colpe sono dalla stessa parte, ma il discorso è troppo complicato per affrontarlo qui”
.
D. Consigliami due bei blog da visitare e intervistare.
“Beh, non saprei. Uno è quello delle zitelle speranzose:
http://gracek.blog.tiscali.it/
Anche se l’autrice scrive di rado adesso e non credo si faccia intervistare. Per l’altro fa tu”.

D. Di cosa parla il tuo romanzo “Atto d’amore” e come sono andate le vendite?
“Sulle vendite non so ancora niente, anche se non dovrebbero essere eccessive essendo la mia una piccola casa editrice. Comunque sto partecipando a un concorso con Dacia Maraini e sto contattando qualche persona del cinema per cercare di valorizzare la mia storia. “Atto d’amore” parla del complicato rapporto tra un balordo, uno stupratore occasionale, e la sua mancata vittima. E’ una storia forte, dura, a tratti violenta (alcune persone mi hanno confessato di essere rimaste turbate dalla durezza dei primi capitoli, quelli relativi al tentativo di stupro). Se mi consenti un pizzico di pubblicità, il mio romanzo si può comprare a questo indirizzo o in libreria (Francesco Cinque, “Atto d’amore” graphe.it editore)”.


D. In questo post Figli delle stelle - La mafia delle parentele tu citi un mio pezzo nel quale nominavo tutti i personaggi famosi che sono figli di papà. Due cose: 1) quando mi paghi i 3500 euro di diritti SIAE? 2) Quanto è duro far carriera in Italia senza aver conoscenze?
“Aspetta fammi fare il calcolo. Per pagarti i 3500 dovrei vendere il mio romanzo come Harry Potter, quindi te li puoi scordare. :-) Far carriera senza conoscenze non è duro, è quasi impossibile (e metto il quasi solo perché sono un inguaribile ottimista)”.

D. Se potessi far resuscitare due scrittori per fargli raccontare la nostra epoca, chi faresti rivivere?
“Vorrei Jack London e magari Edgar Allan Poe, non necessariamente per parlare della nostra epoca”.

D. Gli italiani sono un popolo di…
“Frequentatori di osterie (lo dico in senso buono)”.

D. Nell’arco di un anno scrivi più post sul tuo blog o fai più volte sesso?
“Dunque, una, due tre, quattro, e poi c’è la cinque, la sei, la sette… aspetta ho perso il conto. Scherzo”.

D. Quali sono le ragioni della vittoria di Berlusconi alle ultime politiche?
“La litigiosità e un certo massimalismo parolaio del governo Prodi e l’alternanza politica quasi perfetta che c’è nel nostro paese dal ’94”.

D. Fammi una domanda.
“Chi cantava “Viva la pappa col pomodoro?”.
Mia risposta: “i Led Zeppelin?”.

D. Come vedi il dopodomani?
“Molto meglio di come lo vedevo qualche anno fa”.

Intervista a cura del blog informasatira.

Mi piace scrivere



Vorrei correggere un piccolo equivoco in cui potrebbe essere incorso qualche mio conoscente leggendo certe mie dichiarazioni ironiche. A me piace scrivere. Mi piace molto. Scrivo alcune ore al giorno e soprattutto mi piace revisionare con cura i miei lavori, che siano post o storie di narrativa. Anche dopo aver finito un post o una storia, vago come un falco sui miei paragrafi per cercare come migliorarli, come sintetizzarli, come trovare un sostantivo o un verbo più efficace per esprimere un concetto. Sono soddisfatto quando riesco a eliminare frasi o parole che in una prima stesura avevo giudicato irrinunciabili, quando trovo il termine giusto, proprio quello lì che esprime il concetto che avevo in mente. E la soddisfazione è ancora maggiore quando quel termine ha un’espressività popolaresca, un suono di tutti i giorni. In realtà quando scrivi è come se tu risolvessi un cruciverba, gioco di cui sono appassionato; devi sistemare le parole giuste nella giusta sequenza. Non è facile, ovviamente. E ci vuole molto lavoro. E puoi affrontare quel notevole dispendio di energie mentali solo se ti piace ciò che fai. Solo se l’azione di creare una storia o un articolo ti gratifica. E’ la stessa cosa di quando giochi a pallone in una squadra, a pensarci bene. Puoi avere soldi e successo inseguendo una palla per un campo di calcio, ma devi allenarti e sacrificarti e se non ti piace provare l’ebbrezza del gol devi appendere le scarpette al chiodo.

Chiacchierando con Mariella


L'intervista mi è stata fatta da Mariella Calcagno, direttrice della collana Afrodite della casa editrice Graphe.it

1)Francesco, il tuo è un blog molto frequentato ma anche molto commentato, quindi ti seguono con attenzione i tuoi lettori. E' un piacere per te essere letto? E'condivisione?

Non credo necessariamente che sia un piacere essere letto. E' un piacere produrre qualcosa che susciti l'interesse o il consenso altrui, qualunque forma assuma questa creazione, può essere un libro o un maglione fatto con i ferri. Non credo nemmeno che chi scrive sia mosso dal desiderio di voler condividere il suo pensiero con gli altri. Ritengo voglia le solite cose. Consenso, soldi se possibile, una qualche forma di successo, sia pur minima. Insomma chi scrive vuole vivere, come qualunque altra persona, come è sempre accaduto da che mondo è mondo.

2)Qualcuno pensa che scrivere, fra le varie motivazioni, ci sia anche quella del fatto che sia terapeutico, tu cosa ne pensi?

Non vedo questa motivazione terapeutica. La migliore terapia che conosca è quella di andarsene a Honolulu e farsi coccolare dalle hawaiane in tutù. Mi rendo conto però che non a tutti è concesso.

3)Non molto tempo fa mi scrivesti che per te vedere il tuo libro in libreria non è poi così esaltante, cosa ti esalta allora, cosa ti emoziona, se non un figlio anche se letterario? E' vietato rispondere, il tramonto, la luna, l'amore...

Al momento io non ho ancora visto il mio libro in libreria, quindi non posso dire che sensazioni proverei nella circostanza. Cosa mi emozionerebbe? Direi che possedere un tetto tuo sopra la testa, abbastanza soldi per arrivare a fine mese e non avere ansie sulla tua sussistenza futura è una cosa che mi emozionerebbe moltissimo.

4) In quanto direttrice di Afrodite, ho avuto il piacere di scoprirti e quindi decidere di scegliere il tuo testo da poter pubblicare, nei tuoi scritti leggo spesso malinconia ma anche molto amore nei contenuti che scrivi, appari anche disincantato e non ti interessa essere simpatico a tutti, chi è Francesco Cinque?

Credo di essere solo realista. Non mi faccio illusioni sulla gente e nemmeno su me stesso. Chi sono io? Uno dei tanti. In una scena di Io robot si vedeva un salone pieno di robot identici, simili nell'aspetto e nel funzionamento. La differenza con gli uomini è che questi ultimi, per qualche assurdo motivo, pensano di essere uno diverso dall'altro o persino uno più buono e meritevole di un altro. Comunque non sono per niente un individuo malinconico. Quando mi va, canto a voce spiegata e sono euforico in un modo travolgente che talvolta dà fastidio a chi mi è vicino (forse perché costui, lui sì, è malinconico).

5)Perché consiglieresti di comprare e quindi leggere Atto d'Amore?

Perché in giro si vede e si legge pure di peggio.

6) Quali sono le tue letture preferite?

Mi piacciono i romanzi storici, anche se noto che spesso hanno al loro interno più lentezze e zavorra letteraria di altri libri. Leggo comunque di tutto quando ho tempo. Uno degli ultimi libri che mi è piaciuto è quello di Zucconi su Cavallo Pazzo e i Sioux.

7) Cosa consiglieresti a chi scrive e desidera essere pubblicato?

Di cambiare mestiere a meno di non avere il paparino ammanigliato nel mondo dell'editoria, della cultura o del potere in genere. Avere il paparino ammanigliato è utile pure se non scrivi e non desideri essere pubblicato. Il nostro è un mondo basato sul nepotismo, sulla raccomandazione, in politica, televisione, cinema, editoria, dovunque. E' strano che se ne parli così poco. In assenza del genitore pezzo grosso, potrebbe essere utile la faccia tosta necessaria per raccontare barzellette a telefono agli editori contattati. Sono assolutamente convinto che un buon raccontatore di barzellette abbia molte più possibilità di pubblicare e vendere di uno che si impegna a scrivere.

8) Napoli è la tua città, tre aggettivi per descriverla.

Più che aggettivi direi questo. Una volta non sopportavo alcuni aspetti di Napoli e un certo folclore partenopeo che mi appariva deteriore. Ora sono più tollerante sotto questo aspetto. Una volta non avrei ambientato mai una storia a Napoli. Ora invece la mia città mi sembra uno degli scenari migliori in cui far muovere personaggi letterari.

9) Cosa sogna Francesco?

Quello che sognano gli altri esseri umani. E dato che si tratta di cose imbarazzanti da riferire, sarà meglio tacere.

10)Cosa vorresti che venisse scritto in questa intervista che non ti ho chiesto?

Niente. Dieci domande mi paiono sufficienti

Grazie Francesco.

Io scrivo tu scrivi, intervista semiseria


Senti…

Ma che me stai ancora a ‘ntervistà? E bastaaahhh.

Dai, non fare così. Qui si fanno intervistare tutti ai quattro punti cardinali. In ogni caso c’è sempre da risolvere quella faccenda del perché si scrive. Cosa significa per te mettere i tuoi pensieri sulla carta o sul monitor? È una specie di autoterapia, un’urgenza, un modo di esistere? Scrivendo esorcizzi forse il dolore e la solitudine esistenziali?

Ma si può sapere che mazza staje a dì? Sei impazzito?

Scusa, cercavo solo di imitare il tono dell’intervistatore che fa le domande importanti agli scrittori importanti seduto in poltrona con l’intellettuale gamba accavallata. Io facevo solo…

Facevi blabla e blabla. Ecco cosa facevi, a trombone che non sei altro.

Va bene, ho caricato un pizzico qualche tono enfatico, ma se non ti dai arie intellettualoidi nessuno ti prende sul serio. Siamo ancora il paese erede dei pomposi caballeros madrileni che latineggiavano a sproposito in ogni situazione. E ora vuoi rispondere alla mia domanda?

Sul perché si scrive? Naturalmente perché in un angolino della mente di chi scrive c’è abbarbicato, anche se lo si nega, il pensiero di avere successo e consenso, possibilmente di guadagnare. Scrivendo si migliora o si pensa di migliorare il proprio status sociale. Ad esempio alla domanda: che cosa fai nella vita? puoi rispondere: faccio il galoppino all’ufficio postale, però ho pubblicato un romanzo. Puoi anche buttare lì, anzi ti consiglio senz’altro di farlo, che il tuo romanzo non ha avuto il successo che meritava, anche se a tuo avviso è meglio di certi best seller cialtroni che si vedono in giro.

Si vabbé, accettiamo pure che uno scriva per autogratificarsi. Ma potrebbe fare pure altre cento cose per ottenere quel risultato. Fare il cantante, l’attore, l’artista pazzo, il calciatore, che ne so, spupazzarsi le alemanne annoiate sulle spiagge di Rimini, fare il signorotto politico alla Mastella. Perché scrivere?

Ma perché è facile! Scrivere è l’azione più facile del mondo. Ti serve solo una penna e un pezzo di carta, o un computer scalcinato, e già ti puoi definire un piccolo romanziere. Inoltre puoi sempre recitare la parte del genio incompreso. Anche se i tuoi lavori non riscuotono l’interesse che ritieni adeguato, puoi sempre dare la colpa a questo mondo mercantilistico dominato da banditi avidi e ignoranti (scusa che tra l’altro ha l’attenuante di essere spesso vera).

Mi hai fatto riflettere. Essere considerato scrittore è meglio che spacciarsi per cantante o emulo di Totti; inoltre temo che non sia tanto facile ingroppar… cioè socializzare con le alemanne di Rimini e Riccione, me manca er fisico e pure la faccia di bronzo. Sai che ti dico? Quasi quasi butto giù pure io il mio bravo romanzo. Ho proprio una bella storia sulla mia tormentata esistenza che non aspetta altro che vedere luce.

Auguri. Però non fare come me. Se un domani ti intervistano, non dire che scrivi perché non riesci a ingropparti le nibelunghe.

Certo che no. Dirò che lo faccio per autoterapia, per lenire il mio bisogno di comunicare, per soddisfare la mia anima poetica. Perché io ho davvero un’anima poetica, sai?

Sì, la sento quando parla dal tuo didietro dopo che ti sei ingozzato di pappardelle alla puttanesca.