Napule è mille culure


A tutti noi è capitato di amare e odiare nello stesso tempo una cosa. Può essere stata una donna, un amico, una casa. Io ho detestato spesso la mia città, Napoli, ma poi all’improvviso mi è capitato di amarla e soprattutto di ammirarla. Non credo che Napoli sia cambiata nel profondo da quando la conosco, cioè da sempre, quindi devo essere cambiato io o il mio modo di percepire il luogo in cui vivo.
Ho già parlato in altri post del mio rapporto ambivalente verso certi aspetti del folclore partenopeo. Per gli interessati c'è l’etichetta “Napoli” in fondo all’articolo. Ora voglio parlare del particolare modo in cui percepivo Napoli nella narrativa, specie in quella che producevo io.

Come alcuni sapranno scrivo narrativa, ora più, ora meno, da diversi anni. Uno dei problemi maggiori che ho incontrato in questa mia attività è stata l’ambientazione delle mie storie. Scrivevo gialli, racconti di emarginazione metropolitana, di fantascienza o anche di genere fantastico (cioè di eventi portentosi non spiegabili con la normale esperienza umana). Il problema grosso era quando dovevo collocare le mie storie in uno sfondo letterario efficace. L’ambientazione in narrativa è un elemento fondamentale, rende plausibili le tue storie, dà loro spessore e vividezza, le fa vere o verosimili. L’ambientazione non deve essere per forza minuziosa o peggio ancora prolissa, ma vigorosa. Il lettore deve percepire che chi scrive sa di cosa parla, conosce vicoli, persone, suoni, accenti, deve convincersi che l’autore ha respirato l’aria menzionata nella sua prosa, ha udito la gente bestemmiare nella loro parlata originale e forse ha imprecato lui stesso in maniera simile.

L’unica città che conosco davvero bene è la mia, Napoli. Quindi una scelta naturale e anche obbligata sarebbe stata di collocare le mie storie lì o meglio qui. Purtroppo qualsiasi mia avventura letteraria situata nei vicoli partenopei mi risultava stonata. Mi pareva che nella mia città si muovessero solo personaggi da macchietta come quelli di Così parlò Bellavista di De Crescenzo o di Io speriamo che me la cavo della Wertmuller. Passeggiando per Mergellina o per i quartieri spagnoli potevi imbatterti solo in un Pasqualino Settebellezze o in un moderno lazzarone mandato da Picone. Avevo la netta percezione che le mie ambiziose storie (ambizioso non significa per forza efficace) - talvolta basate su viaggi nel tempo o su situazioni alla Matrix quando ancora non c’era il film - si riducessero, situandole in una certa oleografia partenopea, a un Funiculì Funicolà e a un Pullecenella che mangia spaghetti con le mani. Per evitare questa apparente iattura per anni ho collocato i miei romanzi in paesaggi asettici, città fantasma che sarebbero potute essere tutte o nessuna, rinunciando in questo modo a molta della forza narrativa tipica di una buona ambientazione letteraria.

Poi d’un tratto zac, ho cambiato idea. Ho visto Napoli con occhi diversi non solo in letteratura. Dove prima coglievo basso folclore buono per i turisti nordici che dicono Wonderful agli scugnizzi e alle pescivendole di Porta Nolana , ora vedevo colori a migliaia, vitalità, mistero. Posti e personaggi affascinanti utili per ambientare qualsiasi storia, seria e meno seria, tradizionale o innovativa, gialli, horror, vicende politiche, di denuncia e persino avventure di fantascienza o di fantasy. Volete fare viaggi nel tempo? Fateli a Napoli. Volete cercare nuovi codici Da Vinci? Cercateli nei musei di Capodimonte o nel Castel Sant’Elmo. I vicoli partenopei si adattano a ogni trama, intreccio, situazione o argomento riproducibili in narrativa, così mi pareva, e tutto possono valorizzare i chiaroscuri dei bassi, il caos delle strade, il brulicare di umanità. Venite a Napoli, troverete Masanaiello e Ciccio Formaggio, ma anche Eduardo, Massimo Troisi e Pino Daniele. Qui vi aspettano gli scontati babà e sfogliatelle delle Marise Laurito, ma pure la passione, il cuore di una vera femmina di mare come quella ritratta nella foto del post.

Nella mia città c’era tutto e il contrario di tutto, ho scoperto un giorno. E tutto e il contrario di tutto si può scrivere su quello sfondo. Pochi o nessun posto nel mondo sono più adatti per ambientarvi storie. E’ strano che io l’abbia capito solo dopo tanto tempo. A volte ti serve quasi una vita per afferrare concetti elementari, per capire che “Napule è mille culure / Napule è mille paure / Napule è a voce d’’e creature / ca saglie chianu chianu / e tu sai ca nun si sulo”… “Napule è tutto 'nu suonno / e 'a sape tutto ‘o munno / ma nun sanno ‘a verità.”

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